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Il conto corrente bancario, secondo le nuove regole europee, rientra tra gli “strumenti di pagamento".

Attraverso l’apertura di un conto corrente, infatti, i consumatori possono contare su un'ampia scelta di servizi di pagamento: prelievo di contante, appoggio di carte di credito e/o di debito, pagamento automatico di bollette, accreditamento di stipendi o pensioni, ed altro ancora.

Ogni conto corrente è identificato da un proprio codice chiamato IBAN (International Bank Account Number). L'IBAN identifica in maniera esclusiva il conto corrente e l'intermediario che lo detiene e consente di rendere pratica e veloce qualsiasi transazione finanziaria nazionale e internazionale.

La gestione di un conto corrente richiede il pagamento di spese e di commissioni sulle operazioni effettuate.

A seconda dei servizi che offrono, i conti correnti possono avere caratteristiche e costi differenti. Taluni conti correnti prevedono spese di gestione forfettarie periodiche, altri prevedono anche commissioni per ogni movimento effettuato.

Le spese periodiche più frequenti sono le spese di liquidazione, che ricorrono ogni volta che si procede al calcolo delle competenze (oneri e interessi), le imposte (bollo annuale) e le spese postali per la spedizione di estratti conto e delle comunicazioni obbligatorie.

Il conto di base rappresenta la modalità più semplice di conto corrente, dedicato a chi ha esigenze finanziarie limitate. Si tratta del conto più diffuso presso tutta la popolazione e permette l'accesso ai servizi bancari essenziali: prelievo di contante, accredito di stipendio o pensione, carte di debito e poco altro.

Il conto di base ha un costo annuo onnicomprensivo che include un determinato numero di operazioni. Al fine di favorirne la diffusione, per una maggiore efficienza del sistema generale dei pagamenti, alcune categorie particolari di utenti godono di un canone gratuito.

In base alla gestione delle spese e delle commissioni previste per il conto corrente, si parla di conto corrente ordinario (o a consumo) quando le spese dipendono dal numero di operazioni effettuate.

I conti a pacchetto prevedono un pacchetto di operazioni consentite e comprese nel canone annuo. Possono essere “con franchigia” se il numero di operazioni è limitato, “senza franchigia” se consentono un numero illimitato di operazioni.

Si parla di interessi debitori quando la banca fa pagare un costo per gli addebiti che non sono coperti da fondi precostituiti ma rientrano nei limiti del credito concesso dalla banca su quel conto.

Quando il conto corrente presenta un saldo positivo, ovvero somme a credito verso la banca, la banca riconosce una somma percentuale che rientra nella definizione di interesse creditore.

Oggigiorno il tasso d’interesse creditore riconosciuto dalla banca è molto basso, in qualche caso nullo; pertanto, può verificarsi che l’insieme delle spese e delle commissioni siano superiori agli eventuali interessi creditori: in costanza di saldo la tenuta del conto può erodere nel tempo il capitale depositato.

Avendo presente che un conto corrente comporta normalmente dei costi, la risposta al quesito dipende dalle esigenze personali e/o familiari.

In generale, quando è necessario tenere separati disponibilità e flussi finanziari è bene avere più conti. È il caso del conto che si desidera cointestare con un familiare: per esempio il coniuge titolare di propri redditi e patrimoni con il quale si vogliono condividere solo le spese domestiche; oppure un figlio che studia, al quale si vuole assicurare una certa indipendenza economica unita alla possibilità di co-gestire il conto corrente.

Più spesso la necessità di disporre di più conti correnti è legata all’esigenza di distinguere, anche per ragioni fiscali, il patrimonio personale da quello di un’attività imprenditoriale che fa capo alla stessa persona.

Il conto deposito non è altro che un deposito a risparmio. Al conto deposito è normalmente associato un libretto di risparmio, che è il documento sul quale vengono registrate tutte le operazioni di prelievo e versamento.

Viene scelto da quanti vogliono risparmiare senza correre particolari rischi. Va peraltro precisato che il costante abbassamento dei tassi d’interessi (talune banche addirittura applicato un tasso pari a zero sulle somme depositate presso di esse), unito ai costi diretti e indiretti che accompagnano la gestione di un conto deposito (vedi voce sui costi dei conti di deposito), ne hanno ridotto sostanzialmente l’utilizzo come strumento d’investimento.

Rimane abbastanza diffuso il conto deposito intestato ai minori in favore dei quali viene spesso acceso dai genitori (uno o entrambi) o da altri parenti (sovente dai nonni).

I conti deposito per bambini e per minorenni sono stati pensati per consentire ai genitori di risparmiare per il futuro dei propri figli. Le banche offrono diverse opzioni di conti deposito con costi ridotti e condizioni convenienti. In genere sono previste zero spese per l’attivazione e zero costi per la gestione.

La liquidazione della somma risparmiata con gli interessi maturati è prevista al raggiungimento della maggiore età. 

Il conto deposito si distingue dal conto corrente perché è un vero e proprio strumento di risparmio e non permette operazioni diverse dal versamento o prelevamento di somme.

Con il conto deposito libero la disponibilità delle somme depositate si ottiene a semplice richiesta del depositante (per cifre importanti può essere previsto un breve preavviso).

Nel deposito vincolato il denaro si può ritirare solo alla scadenza del periodo stabilito (di norma da 3 a 60 mesi), ottenendo in cambio rendimenti più elevati.

In caso di esigenze immediate, è consentito ritirare il denaro prima del termine pagando delle penali che solitamente consistono nel mancato riconoscimento degli interessi.

Talune banche per attivare un conto deposito a risparmio richiedono anche l’accensione di un conto corrente tradizionale, che funge da conto di appoggio e permette di effettuare le operazioni di trasferimento di denaro (anche on line) dal conto operativo (conto corrente) al conto deposito e alimentare così il risparmio. È anche possibile dare alla banca istruzioni per trasferimenti periodici (per esempio mensili).

È importante sapere che il denaro depositato su un conto deposito è garantito, presso tutte le banche operanti nell'Unione Europea, dal Fondo interbancario di Tutela dei Depositi e dal Fondo di garanzia dei depositanti del credito cooperativo.

In caso di crisi della banca, i depositi sono assicurati fino a 100.000 euro per ogni depositante e per singola banca.

Per finalità legate al contrasto al riciclaggio, dal 4 luglio 2017 non è più possibile per banche e Poste emettere libretti di risparmio al portatore.

Entro il termine del 31 dicembre 2018 le somme depositate sui libretti di risparmio al portatore dovevano essere ritirate e i libretti estinti.

In linea generale, la gestione del conto deposito ha un costo che, come per tutti i prodotti bancari, varia da banca a banca.

Presso molte banche è ormai possibile aprire conti deposito (anche online) senza spese di apertura, gestione e chiusura.

Tuttavia, in sede di apertura del conto deposito talune banche richiedono contestualmente anche l’apertura di un conto corrente. In tal caso bisogna tener conto dei costi del conto corrente associato.

Un altro importante fattore di costo è quello fiscale: l’Erario preleva il 26% sugli interessi maturati sul conto deposito su cui si applica anche l’imposta di bollo, pari allo 0,2% di quanto investito.

A tutto questo va aggiunto un costo occulto: l’inflazione, che di anno in anno erode il risparmio inattivo.

I tassi di interesse che vengono comunicati dalle banche sui conti deposito sono sempre lordi. Questi tassi non corrispondono alla redditività reale del conto deposito, che viene invece espressa attraverso il valore netto del tasso, ovvero senza tasse e spese.

Il rendimento di un conto deposito dipende dunque dal tasso d’interesse al netto dei costi diretti e indiretti.

Per calcolare il rendimento netto, infatti, agli interessi maturati bisogna sottrarre l’imposta di bollo sul capitale versato (0,2%) e la ritenuta erariale sugli interessi maturati (26%).

A conti fatti, se su un deposito di 10mila euro la banca dà l’1,5%, a fine anno il conto avrà maturato 150 euro di interessi. A questi vanno sottratti 39 euro d’imposta e 20 euro di bollo. Dunque, il denaro risparmiato avrà fruttato 91 euro, pari allo 0,91%.

Se poi si tiene anche conto del costo di un eventuale conto corrente di appoggio e del tasso di inflazione, non è difficile avere l’amara sorpresa di scoprire che il denaro risparmiato non solo non ha reso niente, ma potrebbe anche essersi ridotto.

Abbiamo visto che i conti di deposito possono essere liberi o vincolati. Il conto libero consente di prelevare la somma depositata in qualunque momento. Risponde all’esigenza di liquidità del depositante, ma comporta l’accettazione di un tasso di interesse ridotto.

Per i conti di deposito liberi gli interessi vengono sempre calcolati in via posticipata tenuto conto della giacenza media.

Per i depositi vincolati, invece, le banche offrono principalmente tre modalità di erogazione degli interessi: l’erogazione anticipata, calcolata sulla somma depositata e sulla durata del vincolo, l’erogazione in itinere ossia a cadenze programmate e quella posticipata a scadenza del vincolo a cui vengono sottoposti i fondi.

L’erogazione anticipata offre il vantaggio di poter investire una somma più bassa di quella che si riscuoterà alla scadenza del vincolo, ma accompagnata da un tasso d’interesse ridotto. L’eventuale prelevamento prima della scadenza comporta la perdita dell’interesse calcolato e, spesso, anche il pagamento di una penale.

Con il calcolo degli interessi in itinere, il risparmiatore può programmare in anticipo eventuali prelevamenti potendo gestire, quindi, esigenze di liquidità che non siano improvvise e inderogabili.

Il calcolo posticipato degli interessi conviene, infine, a chi può tenere fermo il capitale per tutto il tempo del vincolo, usufruendo di un tasso d’interesse più elevato.

Risparmiare consiste nel mettere da parte dei soldi per utilizzarli in futuro. Di solito i risparmi vengono depositati in un conto corrente o in un conto deposito e sono sempre pronti per essere utilizzati per coprire eventuali spese o emergenze. I fondi sono garantiti fino a 100.000 euro, pertanto possiamo definire il risparmio fino a tale cifra un’attività esente da rischi. Va comunque tenuto presente che l’inflazione eroderà i nostri risparmi col passare del tempo: non è dunque un’ottima idea quella di avere tutti i nostri risparmi fermi su un conto corrente.

Investire invece consiste nell’utilizzare dei soldi per far accrescere il loro valore nel tempo. Effettuando un investimento - ad esempio acquistando azioni o ETF - ci aspettiamo che il loro prezzo aumenti nel tempo e, di conseguenza, aumenti il valore del nostro investimento.
Al contrario di risparmiare, investire comporta dei rischi di perdita del capitale: solitamente maggiore è il rendimento atteso, maggiore sarà il rischio di andare incontro a perdite.

Il broker online è un intermediario finanziario che permette agli investitori di accedere ai vari mercati per comprare e vendere azioni, ETF, obbligazioni e tanti altri prodotti finanziari.
Per usufruire dei servizi di brokeraggio occorrerà aprire un conto di trading presso il broker. L’attivazione del conto permetterà di avere accesso alla piattaforma di trading che il broker online mette a disposizione. Qui potremo immettere gli ordini di acquisto/vendita che verranno evasi verso le borse di riferimento. Sempre tramite la piattaforma potremo poi gestire il nostro portafoglio e monitorarne tutte le attività.

Occorre innanzitutto chiarire che non esiste il miglior broker online in assoluto. Questo perché esistono varie tipologie di broker, ognuno con caratteristiche diverse che andranno a soddisfare determinati tipi di investitori. Ad esempio, un broker con una piattaforma avanzata sarà ideale per un investitore sofisticato, mentre risulterà inadeguato per chi è alle prime armi e non saprebbe dove mettere le mani.
Per questo motivo occorre mettersi alla ricerca di un broker online la cui offerta sia allineata a quello che è il nostro profilo di investitore e quelle che sono le nostre preferenze.

Le azioni rappresentano le quote unitarie in cui è suddiviso il capitale delle società per azioni (S.p.A.). Il titolare delle azioni sarà dunque considerato come il socio della società.
Chi investe in azioni mira a guadagnare tramite l’apprezzamento dell’azione e/o tramite lo stacco dei dividendi societari agli azionisti.
Le azioni sono considerate un investimento a rischio medio-alto, a causa del probabile deprezzamento dell’azione, con conseguente perdita (parziale o totale) del capitale investito.

Gli exchange-traded funds (ETF) sono dei fondi di investimento che però a differenza di questi ultimi sono quotati in borsa. Possono dunque essere liberamente negoziati tramite un broker online.
Gli ETF sono dei prodotti che investono in un paniere: azioni, valute, materie prime, obbligazioni e anche una combinazione di questi asset. Ne deriva che gli ETF permettono di raggiungere un buon livello di diversificazione all’interno di un portafoglio.
Gli ETF sono a gestione passiva: replicano l’andamento dell’asset class sottostante, senza provare a battere il mercato.

Il mutuo ipotecario è un finanziamento a medio lungo termine, con una durata variabile da 5 a 30 anni. Normalmente il cliente riceve la somma in un’unica soluzione e la rimborsa nel tempo, con rate che possono essere costanti o variabili.

Viene definito “ipotecario” perché il pagamento delle rate è garantito da un’ipoteca su un immobile, normalmente lo stesso che è stato acquistato con il mutuo.

I mutui vengono concessi di norma dalle banche, benché possano essere erogati anche da altri intermediari finanziari.

Il mutuo ipotecario è la forma più diffusa di credito immobiliare offerto ai consumatori. Si tratta dello strumento principale per acquistare una casa o un altro immobile.

Oltre che per acquistare la casa, si ricorre al mutuo anche per costruire o ristrutturare un immobile, in particolare la casa di abitazione. In qualche caso viene chiesto per sostituire o rifinanziare mutui già ottenuti per le stesse finalità.

Chiunque può richiedere un mutuo, purché possa dimostrare di essere in grado di restituire nel tempo la somma avuta in prestito. Le banche definiscono la capacità di restituire il prestito “merito creditizio”.

Il “merito creditizio” è una sintesi del livello di indebitamento, dei flussi di reddito e della solubilità del cliente. Oltre che per decidere la concedibilità del mutuo, il merito creditizio rappresenta anche un parametro per definire il tasso di interesse (specialmente per le imprese): a maggior rischio (scarsa solubilità, incertezza del flusso di reddito, elevato indebitamento complessivo) corrisponde un maggior tasso e viceversa.

Nel mutuo a tasso fisso, la rata resta costante per tutto il periodo di ammortamento.

Il tasso è variabile quando si modifica a scadenze prestabilite rispetto al tasso di partenza. In questo caso, infatti, il tasso segue le oscillazioni di un parametro di riferimento, di solito stabilito sui mercati monetari e finanziari.

Il vantaggio del tasso fisso è rappresentato dalla certezza che l’impegno finanziario non cambia nel tempo. Il tasso fisso è pertanto consigliabile quando si teme che il tasso d’interesse possa crescere nel tempo, anche se fare una previsione proiettata su tempi lunghi, quali sono spesso quelli legati ai mutui, è piuttosto difficile.

Lo svantaggio, viceversa, è rappresentato dalla circostanza di non poter sfruttare eventuali riduzioni dei tassi di mercato che dovessero verificarsi nel tempo.

Il principale svantaggio del mutuo a tasso variabile è rappresentato dalla circostanza che la rata può aumentare all’aumento del tasso. Alcune banche offrono contrattualmente la possibilità di allungare il periodo di ammortamento al fine di mantenere costante la rata (ma aumenta ovviamente il costo complessivo del mutuo).

Il tasso variabile è pertanto consigliato a chi prevede un periodo di abbassamento dei tassi sui mercati monetari e finanziari, potendo comunque sostenere eventuali aumenti dell’importo delle rate.

Tasso misto e tasso doppio rappresentano alternative ai tassi fissi e variabili (ma poco praticate sul mercato domestico).

Il tasso di interesse misto può passare da fisso a variabile (o viceversa) a scadenze fisse e/o a determinate condizioni indicate nel contratto. Vantaggi e svantaggi sono alternativamente quelli del tasso fisso o del tasso variabile. Va tenuto presente che l’esercizio dell’opzione può essere accompagnato dal pagamento di una commissione.

Questo tipo di tasso di interesse è solitamente richiesto da chi desidera avere maggiori garanzie a fronte di prevedibili frequenti fluttuazioni dei mercati finanziari.

Con il tasso doppio, il mutuo è suddiviso in due parti: una con il tasso fisso, una con il tasso variabile. Si tratta di una soluzione intermedia tra il tasso fisso e il tasso variabile che equilibra vantaggi e svantaggi di ciascuno.

La componente principale del costo di un mutuo è costituita dagli interessi, il cui ammontare dipende dal tasso e dalla durata del mutuo.

Per calcolare il saggio d’interesse le banche fanno riferimento a dei parametri fissati sui mercati monetari e finanziari. A tali parametri le banche aggiungono una maggiorazione detta spread, che rappresenta la differenza tra il parametro di riferimento e il tasso effettivamente applicato.

Poiché i parametri di riferimento sono uguali per tutti gli intermediari, è sulla misura dello spread che si gioca la competizione tra le banche. Lo spread rappresenta, pertanto, una delle principali informazioni che il cliente deve assumere per scegliere la proposta più conveniente sul mercato.

Di solito il parametro di riferimento per il tasso fisso è l’Eurirs (o Irs - Euro Interest Rate Swap) mentre per il tasso variabile i parametri di riferimento sono l’Euribor (Euro Interbank Offered Rate) oppure il tasso ufficiale fissato dalla Banca Centrale Europea.

Oltre al tasso d’interesse ci sono altri costi bancari direttamente connessi all’erogazione del mutuo, quali le spese di istruttoria della pratica e il costo della perizia dell’immobile. Altre spese, di minor importo sono, invece, collegate al periodo di ammortamento, quali commissioni d’incasso delle rate e le spese di invio delle comunicazioni.

Infine, ci sono costi solo eventuali, collegati al verificarsi di determinate circostanze, come  gli interessi di mora in caso di ritardo nel pagamento delle rate o le spese di recupero del credito nei casi di più gravi inadempienze del debitore.

Per tali costi è possibile consultare il Foglio contenente le Informazioni generali sulle caratteristiche principali del prodotto offerto, che per legge le banche devono rendere disponibile presso le proprie agenzie e sul proprio sito internet.

Oltre alle spese indicate nel punto precedente, il mutuo sconta altri costi extra-bancari. Si fa riferimento innanzitutto alle imposte statali, tra le quali spicca l’imposta di registro in misura variabile a seconda che si tratti di prima o di seconda casa.

Attualmente il cliente paga un’imposta pari al 2% dell’ammontare complessivo, ridotta allo 0,25% nel caso di acquisto della “prima casa”. L’imposta è trattenuta direttamente dalla banca, che pertanto eroga al cliente un importo inferiore a quello concesso.

Tra le altre spese vanno anche menzionate quelle notarili. Il mutuo, infatti, è un atto pubblico, il cui costo si aggiunge a quello per la stipula dell’atto di acquisto dell’immobile.

Il TAEG è un acronimo che significa Tasso Annuo Effettivo Globale. Espresso in percentuale, il TAEG è il dato reale e preciso che indica quanto si paga effettivamente di interessi su un mutuo perché oltre ai soli interessi comprende anche alcune delle spese connesse alla concessione del prestito prima descritte.

Il TAEG, a differenza del TAN, viene calcolato sull'effettivo valore del mutuo, quindi sulla cifra al netto dei costi di perizia, di apertura conto, di amministrazione. Inoltre, agli interessi pagati si somma questo capitale tolto all'origine, dividendo il tutto non per i mesi ma per gli effettivi pagamenti.
Ne consegue che se le rate vengono rimborsate semestralmente, ad esempio, il TAEG tenderà ad avvicinarsi al TAN. Sui rimborsi mensili, invece, il TAEG sarà più alto.

Leggi la guida completa: I parametri di riferimento dei mutui: TAN, TAEG e TEGM

Il prestito personale è un credito destinato ai consumatori per esigenze familiari o personali, ad esclusione degli investimenti.

Può essere concesso da una banca o da una società finanziaria autorizzata che siano regolarmente iscritti negli Albi ed elenchi di vigilanza tenuti dalla Banca d'Italia.

Forme particolari di prestito personale sono la carta di credito revolving, il credito al consumo, la cessione del quinto e il consolidamento di debiti.

Il prestito personale può essere destinato indifferentemente all’acquisto di beni di consumo per sé o per la famiglia: un’auto, una moto, la cameretta del bambino, una vacanza, e altro ancora. In questo caso si definisce “credito non finalizzato”.

Quando il prestito personale è “finalizzato” all’acquisto di un determinato bene si definisce più propriamente credito al consumo.

Questa forma di prestito è caratterizzata da una convenzione tra il venditore del bene e una banca o un intermediario finanziario che rende possibile rateizzare il pagamento per facilitare l’acquisto di quel determinato bene.

È il caso, sempre più frequente, degli acquisti rateali offerti direttamente presso il negozio per invogliare l'acquisto di elettrodomestici, auto, scooter, crociere, ecc.

La cessione del quinto dello stipendio è un particolare tipo di prestito personale previsto dalla normativa italiana, che consiste in un prestito da estinguersi mediante la cessione, a una banca o altro intermediario finanziario, di una parte dello stipendio o salario fino a un quinto dell'ammontare dello stesso, al netto di ritenute.

La rata viene trattenuta direttamente dal datore di lavoro e corrisposta alla banca o intermediario finanziario.

Se una persona assume troppi impegni e non riesce a farvi fronte, può ricorrere al prestito per consolidamento dei debiti. La banca o altro ente finanziario eroga una somma sufficiente ad estinguere i debiti personali del richiedente prevedendone l’estinzione in tempi più lunghi e con rate più leggere.

La formula del consolidamento debiti è utilizzata anche per ottenere nuova liquidità, che spesso il richiedente utilizza per le medesime finalità dell'estinzione di tutti o parte di debiti pregressi.

Per ottenere un prestito personale occorre essere residenti in Italia e avere un'età compresa tra 18 e 70 anni.

È anche necessario dimostrare di essere in grado di restituire la somma ottenuta in prestito alle scadenze stabilite. Tale capacità viene definita “merito creditizio" e viene valutata, mediante la presentazione di idonea documentazione (per esempio la busta paga), dall’intermediario prima di concedere il prestito.

Si ha un sufficiente “merito creditizio”, per esempio, se le rate di finanziamenti precedenti sono state pagate regolarmente o se non si è stati protestati (cioè se non si è iscritti nel "registro dei protesti" per il mancato pagamento di una cambiale, di un vaglia cambiario o di un assegno bancario). Inoltre, la somma richiesta dev’essere proporzionale al reddito, ovvero alla possibilità di restituire il prestito.

Per i prestiti personali non sono necessarie garanzie reali, come per esempio l’ipoteca su un immobile. Per importi significativi possono essere chieste garanzie personali, ovvero una fideiussione o una polizza assicurativa.

L'assicurazione sul prestito pur essendo pensata per tutelare il richiedente di un finanziamento qualora per diversi motivi non sia possa adempiere al pagamento delle rate mensili, di fatto rappresenta anche una garanzia aggiuntiva per la stessa banca.

Le polizze più comuni sono le Cpi, acronimo di Credit Protection Insurance.

Non esiste una norma che stabilisca che rapporto proporzionale debba esserci tra il reddito disponibile e la rata da pagare per rimborsare un prestito personale.

Nel 2008 la Banca d’Italia aveva raccomandato a banche e intermediari finanziari di limitare a un massimo del 30% il rapporto tra reddito e rata, come dire che se si dispone di un reddito netto mensile di 2 mila euro, la rata non dovrebbe essere superiore a 600 euro.

Nella prassi bancaria in effetti il rapporto può variare al variare del merito creditizio del richiedente e, soprattutto, al variare del reddito disponibile.

Infatti, è comprensibile che se si dispone di un reddito elevato, per esempio 10mila euro al mese, si può facilmente sopportare una rata anche superiore al 30%, specie se si dispone anche di un patrimonio altrettanto elevato (per esempio si è proprietari della casa di abitazione, sicché il richiedente non deve pagare un affitto mensile). Mentre se il reddito familiare è appena sufficiente alle spese essenziali per vivere (affitto, bollette, acquisto di beni alimentari, ecc.) difficilmente rimangono soldi per pagare i debiti.

Comunque, di norma banche e intermediari si attengono a un rapporto pari al 20% del reddito.

Dato che per il prestito personale non è prevista una garanzia reale, il costo è generalmente più oneroso di altre forme di finanziamento.

Le variabili che incidono sul costo sono diverse: l'importo del prestito; la sua durata; il tasso di interesse applicato; le spese di istruttoria; eventuali spese per il pagamento delle rate; eventuali spese assicurative.

Si tenga conto che alcune di tali spese e commissioni sono fisse, ne consegue che la loro incidenza sul prestito sarà tanto più elevata quanto più basso è l'importo richiesto.

Il consumatore che accede a un prestito personale gode di alcuni fondamentali diritti previsti dalla normativa nazionale. In sintesi essi sono:

a)    diritto di avere una preventiva informativa; nella fase di negoziazione del prestito - ossia prima che venga sottoscritta la richiesta - la banca o la finanziaria hanno l’obbligo di consegnare le “Informazioni europee di base sul credito al consumo”. Tale documento (detto anche SECCI) contiene informazioni chiare e complete delle principali condizioni applicate;

b)    diritto di recesso, ovvero la facoltà di “ripensamento” concessa al consumatore di interrompere il contratto di finanziamento senza il consenso della banca o dell’intermediario finanziario erogante. L'esercizio del diritto va fatto entro 14 giorni dalla stipula del contratto, non prevede costi e non deve essere motivato;

c)     facoltà di estinzione anticipata del prestito, ovvero possibilità di restituire l’importo dovuto all’istituto di credito prima della scadenza naturale del contratto; non è ammesso il patto contrario.